Allora, il CPI Americano di febbraio uscito settimana scorsa continua a viaggiare, nella sua versione core, sopra il target di inflazione della Fed al 2%. Quando uscirà a metà aprile il dato di marzo dovrebbe incorporare anche il recupero del prezzo del petrolio, e la headline inflation potrebbe avvicinarsi molto al target della Fed e spianare la strada a un rialzo dei tassi a giugno. Stiamo a vedere. Non cambierà comunque molto, anche perchè i dati macro sembrano l’ultima cosa che i mercati guardano di questi tempi. Il mondo sembra un campo minato di incertezze e nessuno sa dove e quando la prossima mina esploderà.

Lasciamo da parte Cina, Brasile, Medio Oriente e simili e concentriamoci sulle due incertezze più certe, perché hanno una scadenza precisa: le elezioni americane il primo martedì di novembre e il referendum sullaBrexit del 23 giugno. Ormai la corsa alla Casa Bianca sembra proprio essere a due. Un concorrente è stracerto, Hillary, l’altro abbastanza, The Donald. La vulgata dice che la Clinton è amica di Wall Street, e che Trump è il suo incubo. Sarà vero? Se guardiamo qualche numero sembra di sì.

Secondo i dati del WSJ finora la campagna dell’ex first lady ha ricevuto dalle firme di Wall Street donazioni per 19 milioni di dollari, Trump per 17.255. Ma questo forse non vuol dire che la Clinton sia amica di Wall Street, ma magari che ha degli amici a Wall Street. Se passiamo dai numeri alle dichiarazioni eccone una recentissima che smentisce la vulgata. A parlare è Marc Faber, editore e direttore di Gloom Boom & Doom Report, una delle newsletter più seguite a Wall Street, e anche investment advisor e fund manager. In un’intervista a Bloomberg ha dichiarato: “se fosse guidata da Trump l’America andrebbe meglio”. Al giornalista che gli chiede se parla sul serio risponde elaborando: “è tutto relativo, date le alternative voterò Trump, al massimo potrebbe distruggere l’America, Hillary Clinton sarebbe capace di distruggere il mondo intero.” Trump fa paura perché è imprevedibile, ma il suo programma di far “tornare grande l’America” indubbiamente piace all’investitore. Nel programma della Clinton c’è di tutto – diritti alle coppie gay, parità salariale uomo-donna, educazione universitaria per tutti, completamento della riforma sanitaria – tranne che l’economia. C’è invece la finanza: più regole stringenti, lotta alla speculazione, etc etc.

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Insomma, per Wall Street la campagna presidenziale da qui a novembre potrà portare qualche mal di pancia. E la Brexit? Qui vale la pena di proporre una scommessa. Scommettiamo che se il 23 giugno vincono i no all’uscita dall’Europa nel giro di qualche settimana, con qualche scusa, si sgonfia e si smonta anche il progetto di fusione tra la Borsa di Londra e quella di Francoforte? Mettiamoci dal punto di vista della City. Nessuno sa veramente cosa vorrebbe dire una Brexit. Ma se succede, il rischio che Londra perda almeno in parte il suo appeal di capitale finanziaria globale c’è tutto. Allora, tiriamo dentro i tedeschi, ci spartiamo la torta e siamo abbastanza al sicuro. Ma se non succede, chi ce lo fa fare? C’è un precedente, fine degli anni 90, euro in arrivo. Anche allora alla City si chiedono se la moneta unica potrebbe marginalizzarli. E annunciano una partnership con Francoforte per creare una piattaforma di trading comune. Poi a metà 2000 le due Borse annunciano un piano di fusione vera e propria, inventano anche il nome, “iX for International Exchange”. Anche allora 50-50 e anche allora CEO ai tedeschi. Poi passa il tempo, si capisce che l’euro non minaccia in alcun modo la supremazia finanziaria di Londra e salta tutto a causa di una fantomatica Opa lanciata su Londra da OM Gruppen, un operatore di Stoccolma di cui nessuno aveva sentito parlare prima. È pensare troppo male immaginare che anche questa volta gli inglesi stiano usando i tedeschi come polizza assicurativa in caso di Brexitpronti a scaricarli se non succede nulla?

 

Casa Bianca e Brexit sono solo due delle mine vaganti che continueranno a circolare nei prossimi mesi. Di Cina non si sente più parlare, e forse proprio per questo bisognerebbe preoccuparsi. Sui mercati sembra sia tornato il sereno dopo il disastro di gennaio e febbraio. La gente in Europa fa la fila per comprare i corporate bond delle banche dopo averli venduti come spazzatura a inizio anno. Una volta si diceva “trend is your friend”.

 

Oggi il problema è che non c’è più il trend. Ci sono delle tempeste improvvise che spazzolano il valore di tutti gli asset senza fare troppe differenze e poi svaniscono nello stesso nulla da cui sono arrivate. In un mondo così la vecchia asset allocation basata su una accurata e segmentata diversificazione funziona sempre meno. Non ci sono più asset class e aree geografiche che si passano il testimone nella staffetta della crescita. Quando arriva arriva, e non ce n’è per nessuno. Bisogna inventarsi qualcosa di diverso e i fund manager più bravi si stanno già attrezzando.

 

Bottom line. Qualunque sia la ricetta della nuova asset allocation dovrà avere un suo centro di gravità, che va sotto il nome di cash. Le tempeste improvvise offrono opportunità spesso irripetibili. Ma se non si dispone del cash per coglierle perché la tempesta ti trova fully invested, diventano solo occasioni perdute.

 

(FinanciaLounge – Weekly Bulletin 21 marzo 2016)