La notizia della settimana scorsa, e forse addirittura dell’anno, si chiama Nasdaq, che ha bucato per la prima volta quota 6.000. Dopo un consolidamento durato ben 17 anni e che nel post Lehman lo aveva portato vicino alle 3 cifre, l’indice dei titoli tecnologici (ma non solo) americani è tornato a puntare con decisione verso nord. Ci risiamo? È la vigilia di una nuova bolla simile a quella della new economy destinata a esplodere in un falò che brucia le mani degli investitori? Oltretutto ci starebbe perché siamo a maggio, il mese del “sell and stay away” secondo il vecchio motto di Wall Street. Non sono pochi gli uccelli del malaugurio in giro che parlano di titoli sopravvalutati.

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Rispondiamo, prendendo a prestito parole pronunciate da Bill Clinton proprio in quegli anni lontani anche se in un altro contesto, che “The past is history, not destiny”, il passato è Storia, non il Destino. E cerchiamo di spiegare perché, con il ragionamento e qualche numero.

Cominciamo dalla valutazione delle azioni, per misurare se sono troppo care o no il metodo più usato è il price/earning, vale a dire il multiplo di utili attesi espresso dal prezzo di borsa.

A marzo 2000 i titoli del Nasdaq si pagavano in media 175 volte gli utili attesi. Oggi siamo a 20. Un po’ alto rispetto alla media dello S&P 500 che viaggia a 17,5 volte, ma il differenziale potrebbe esprimere un maggior potenziale di crescita. Un altro misuratore sono gli stessi utili. Oggi i titoli high-tech li macinano a livelli record, allora le società di internet bruciavano cassa a ritmi infernali. Inoltre, allora si correva a lanciare un’IPO subito dopo aver messo insieme una manciata di investitori, magari con un business plan scarabocchiato sul tovagliolo di una pizzeria di Palo Alto. Wall Street era il punto d’arrivo per diventare milionari da un giorno all’altro. Oggi ci sono colossi che bruciano cassa per miliardi, unicorni come Uber o Airbnb, ma stanno lontani dal mercato perché non sono pronti. Se qualcuno si farà male, saranno gli investitori privati miliardari della Silicon Valley, non il mercato.

E poi ci sono i grafici, le chart. Che fotografano un Nasdaq 2017 con una linea in costante, stabile e contenuta salita. Somiglia molto al pattern del breakout del 1995, quando l’indice tecnologico rompeva il range e si preparava alla corsa che lo avrebbe portato da poco sotto quota 1.000 alla vetta di oltre 5.000 cinque anni dopo. A quella vetta arrivò con uno strappo finale partito dopo l’estate del 1999 che lo portò a quasi raddoppiare in soli sei mesi. Se si guarda la curva del Nasdaq di oggi non è nemmeno parente di quello strappo euforico. Ultima notazione: quando la tecnologia corre, segnala crescita all’orizzonte.

La diffusione globale delle nuove tecnologie precede l’espansione economica. E questo ci consente di passare dal Nasdaq alla “big picture”. Se il momento del Nasdaq è sano, si tirerà dietro anche gli altri indici, che si stanno muovendo con la stessa andatura stabile e costante, con la media mobile a 200 giorni che costituisce un solido supporto a distanza di sicurezza. E intanto l’economia globale va.

È vero che il PIL americano del primo trimestre è uscito debole, ma ci sono fattori stagionali, mentre molti altri indicatori, dall’attività manifatturiera all’edilizia fino al clima di fiducia, segnalano buona salute. A livello globale il FMI ha alzato le stime di crescita 2017 al 3,5%, nell’Eurozona l’attività manifatturiera gira ai massimi da sei anni mentre in Giappone il rapporto Tankan dice che la fiducia dei produttori è ai massimi post-crisi.

Forse non è un caso che le corporation americane, che hanno un mercato globale, abbiano fatto utili sopra le previsioni in quasi l’80% dei casi nelle ultime trimestrali. Se nelle prossime settimane Trump riesce a portare a casa la riduzione della corporate tax, non potrebbe arrivare in un momento migliore.

Bottom line. Forse in questo 2017 “sell in May” non è la migliore idea. Piuttosto potrebbe essere sensato tenere le posizioni, stare a guardare e entrare sugli storni. Per arrivare all’appuntamento del Labor Day del 4 settembre, quando Wall Street torna al lavoro dalle vacanze, con qualche capo pregiato nel carniere preso al volo al prezzo giusto approfittando di una provvidenziale turbolenza nella stagione primavera-estate.

Maggio è il mese della rosa, non della paura.

(fonte FinanciaLounge Weekly Bulletin)