Comunque la si rigiri, la situazione delle economie e dei mercati globali non potrebbe essere più favorevole. In tutte le principali aree gli indici che misurano l’attività manifatturiera viaggiano saldamente sopra quota 50, che costituisce la demarcazione tra espansione e contrazione. Brilla l’Europa, Germania in testa, e la BCE certifica nell’ultimo bollettino economico che la crescita è “solida” mentre l’inflazione resta lontana dal target grazie a un petrolio che lotta per uscire dal territorio dell’Orso in cui è rimasto intrappolato nelle ultime settimane.

Mario Draghi potrà compiacersi della performance europea a Sintra, delizioso borgo antico portoghese sulle colline che affacciano verso l’Oceano vicino a Lisbona, quando mercoledì incontrerà per un simposio i colleghi di Canada, Giappone e Regno Unito, regalando ai falchi del Nord Europa, che rosicano a cominciare dal teutonico Weidmann, il suo ghigno leggendario. Il tapering europeo può aspettare. Ma anche in Cina e Giappone, USA, Gran Bretagna, mercati emergenti: dappertutto l’economia è in espansione. Anche se l’America un po’ sta rallentando.

Intanto la corporate America continua a macinare utili, come argomenta con ricchezza di dati il guru che si nasconde dietro lo pseudonimo di Fear & Greed Trader su Seekingalpha. A Wall Street qualcuno ha visto segni di correzione quando, un paio di settimane fa, i grandi nomi high-tech hanno ceduto alle prese di beneficio dopo una corsa spettacolare da inizio anno. Ma sono solo rotazioni, chi ha corso di più passa la mano a chi è rimasto indietro. Molti guardano al settore biotech come al prossimo protagonista del mercato Toro.

Nel panorama dei fondamentali l’unica nota non proprio stonata, ma un po’ fuori dal coro, è la curva dei tassi americani. È piatta, anche se meno di un anno fa. Il rendimento del titolo del Tesoro USA a tre mesi è ancora a una distanza di 120 punti da quello del decennale. L’allarme rosso di recessione imminente scatta solo quanto la curva si inverte, e i rendimenti sulle scadenze brevi sorpassano quelli a lunga. Con il quartino alla volta della Fed manca ancora molto tempo, a meno che qualche accadimento imprevisto faccia scattare una corsa disperata a rifugiarsi nel porto sicuro per antonomasia, il T-bond a 10 anni, facendo schizzare i prezzi e crollare simmetricamente i rendimenti.

E qui siamo al cuore del problema, il fattore esterno. L’ecosistema globale economico e finanziario è in equilibrio. Ma il mondo non è fatto solo di economia e finanza, è fatto anche di politica, di equilibri strategici e di conflitti armati. In Europa la lunga stagione elettorale finirà a settembre con la Germania, seguita dai tempi supplementari italiani. L’assetto che uscirà sarà più stabile, con la Gran Bretagna sotto schiaffo, la Francia ancella della Merkel, la periferia sempre più periferica. Ma sarà anche più squilibrato, con l’egemonia incontrastata di Berlino, che diventerà ancora più forte dopo la fine del mandato di Mario Draghi nel 2019.

La Cina ha un problema di digestione. Le grandi corporation ‘private’ come Hna, Dalian Wanda, Fosun, Hnabang, si sono comprate mezzo mondo, soprattutto in Europa, ma ora le autorità di controllo bancario di Pechino si stanno chiedendo se non abbiano esagerato con la leva del debito, e parlano di ‘rischio sistemico’. Intanto continua l’escalation nel Golfo, i Sauditi, dopo aver messo al bando il Qatar, gli hanno inviato un ultimatum in 13 punti, con il testa la chiusura di Al Jazeera e l’allentamento dei legami con l’Iran. Per tutta risposta la compagnia di bandiera dell’emirato vuol comprarsi il 10% di American Airlines, il numero uno del trasporto aereo del paese, l’America, da cui sarebbe partito il via all’offensiva araba.

Cosa stia veramente succedendo nel Golfo non è affatto chiaro. Se i Sauditi sono il nuovo gendarme incaricato dagli americani di mettere ordine nella zona, il processo non sarà indolore. Per capirci qualcosa di più va tenuta d’occhio l’IPO più grande di tutti i tempi, quella del produttore arabo di petrolio Aramco, che viene valutato qualcosa come 2.000 miliardi di dollari. I reali di Riyadh e il management non sono d’accordo su dove quotarla, l’approdo naturale dovrebbe essere Wall Street, ma qualche timore c’è sull’andare a domiciliare in terra americana l’asset finanziario più prezioso. Un altro occhio bisognerà tenerlo sulla famiglia reale saudita, dopo l’improvviso cambio nella linea di successione.

Tornando alla Cina, solo per dovere di cronaca, segnaliamo che in America si torna a parlare con una certa insistenza della ‘trappola di Tucidide’, lo storico greco che ha raccontato la guerra tra le due superpotenze dell’antichità, Sparta e Atene. In pillole la trappola è questa: quando la superpotenza finora incontrastata (allora Sparta, oggi l’America) annusa che un rivale potrebbe insidiarla (allora Atene, oggi la Cina) non resiste alla tentazione di attaccarla prima di essere attaccata. E finisce con una guerra che perdono tutti, come nel Peloponneso di 2.500 anni fa.

Bottom line. Tutto continua ad andare bene, le economie viaggiano, i mercati pure. Non crediamo che siano in vista cataclismi, nonostante il ritorno di moda di Tucidide. Ma potrebbe succedere che una nuvola più nera delle altre all’orizzonte venga scambiata per una tempesta in arrivo, e che la suggestione faccia il resto, magari aiutata da tutte le diavolerie che ci sono in giro per proteggersi da una possibile impennata della volatilità che oggi proprio non esiste. Fidarsi della propria testa e dei consigli di un bravo consulente, magari anche con l’aiuto di algoritmi e intelligenza artificiale, ma senza lasciare che prendano il comando.

(Fonte: FinanciaLounge Weekly Bulletin del 26 giugno 2017)