“Breathe, breathe in the air.
Don’t be afraid to care.
Leave but don’t leave me.
Look around and choose your own ground.”

Cosi cantavano nel 1973 i Pink Floyd nello straordinario album che segnò un’epoca della musica internazionale. La Luna mostra alla Terra sempre la stessa faccia a causa della rotazione sincrona, di conseguenza esiste un “lato oscuro” impossibile da osservare direttamente con i nostri occhi.

Il 3 gennaio 2019 la Cina ha tagliato un traguardo storico dell’esplorazione spaziale, facendo allunare per la prima volta due robot della missione Chang-e4 sul “lato oscuro” della Luna. Dal punto di vista morfologico la faccia nascosta presenta molti più crateri rispetto a quella rivolta verso la Terra; questo perchè il satellite ha fatto sempre da scudo al nostro pianeta dai meteoriti che hanno colpito più facilmente ed abbondantemente la faccia esterna rivolta verso lo spazio.

Finora il problema principale di missioni di questo tipo consisteva nell’impossibilità di comunicare direttamente dalla Terra al lato opposto della Luna. Per risolvere questo problema l’Agenzia spaziale cinese ha inviato nel maggio 2018 una sonda orbitante intorno alla Luna che funge da ripetitore dei segnali e delle immagini inviate dai robot.

Ma quali sono gli scopi di questa storica missione da parte dei cinesi? La (ri)conquista della Luna è diventato uno dei principali obiettivi delle agenzie spaziali di tutto il mondo e i cinesi, proprio nell’anno del 50° anniversario della missione Apollo 11 che portò i primi uomini sul satellite, hanno puntato su un notevole vantaggio temporale. La faccia nascosta della Luna è poco conosciuta e, tra i vari obiettivi scientifici dei robot asiatici, vi sono indagini morfologiche e mineralogiche, che aiuteranno gli scienziati a capirne meglio l’evoluzione e di conseguenza anche di quella della Terra e del Sistema Solare. La faccia nascosta della Luna è anche libera dall’inquinamento elettromagnetico provocato dalla Terra e per questo verranno condotte analisi radioastronomiche verso lo spazio profondo, ottenendo dati migliori di quanto sia mai avvenuto finora.

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La Luna, in futuro, ospiterà molto probabilmente colonie umane. Per questa ragione a bordo dei robot è stata installata una piccola biosfera nella quale gli scienziati cinesi tenteranno di far crescere semi di alcuni ortaggi e fiori. Nella piccola biosfera saranno fatti nascere anche dei bachi da seta per verificare gli effetti dell’ambiente lunare su questi processi. È obiettivo dell’Agenzia spaziale cinese inviare entro il 2020 un’altra missione (Chang-e5) con l’obiettivo di raccogliere campioni lunari e riportarli sulla Terra.

La Nasa, dal canto suo, ha già annunciato di voler rimandare degli uomini sul satellite entro una decina di anni, tanto per rimarcare come la concorrenza fra le due superpotenze sia sempre più esacerbata.

LA POTENZA ECONOMICA CINESE NEI SECOLI

Se pensiamo oggi alle potenze economiche mondiali, si è soliti far riferimento alla supremazia occidentale. Eppure la storia ci dice che non è sempre stato l’Occidente ad avere potere e rilievo.

Ho assistito recentemente ad una interessante conferenza dal titolo: “La visione Bimillenaria”  tenuta dal Dott. Fabio Scacciavillani, responsabile del Fondo Sovrano dell’Oman che rimarcava come, prima dei patti di pace internazionali, prima della rivoluzione industriale e, prima ancora, quando l’America non era stata scoperta, prima che l’uomo bianco iniziasse il suo cammino di supremazia, l’Oriente era ricco, evoluto e potente. Per secoli la Cina è stata una civiltà che ha saputo giocare un ruolo primario e di leadership all’interno dell’Asia; unitamente all’India, rappresentavano fino al XIX secolo il 60% dell’economia mondiale. Lo storico Eric L. Jones sostenne che l’impero cinese “nel XIV secolo era giunto ad un soffio dall’industrializzazione”.

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All’inizio del XV secolo la Cina aveva già la bussola, la stampa a caratteri mobili ed eccellenti capacità navali. La situazione economica orientale, soprattutto con riferimento a Stati importanti, quali Cina e Giappone, ha seguito una linea discendente dal 1200 fino agli anni 50’ del 900, per poi arrestarsi completamente. La battuta di arresto delle società sino-nipponiche (ma anche dell’Europa che, a cavallo del XIX e XX secolo rappresentava il 35% del PIL mondiale) fu portata dalla seconda guerra mondiale. La potenza dell’Occidente si è mantenuta tra il 1950 e il 1995 con una grande forza soprattutto degli Stati Uniti. Ma mentre il Giappone ha iniziato a rifiorire già negli anni ’70, la Cina ha dovuto aspettare un po’ di più e solamente dagli anni novanta, con un progresso inarrestabile, si confronta oggi con gli Stati Uniti per la supremazia del maggior PIL mondiale. Cosa diversa invece per quanto riguarda il PIL pro-capite: fino al 1300 la Cina era l’economia più ricca al mondo, rimanendo a livelli altissimi, paragonabili a quelli britannici, fino al 1600. Da quel momento però il PIL pro-capite cinese è calato continuamente, cominciando a risalire solo dal 1990, senza arrivare tuttora ai livelli delle altre potenze mondiali.

COSA SI CELA DIETRO LA GUERRA COMMERCIALE DELLE DUE SUPER POTENZE?

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Sono lontani i tempi in cui la Cina era la fabbrica del mondo. La globalizzazione viaggiava a gonfie vele e le imprese del mondo occidentale aumentavano i loro profitti grazie alla manodopera a basso costo gentilmente concessa dal Partito Comunista Cinese. Per fare però il passo in avanti, i cinesi avevano necessità della tecnologia occidentale. Gli Stati Uniti se ne sono accorti in ritardo. La presidenza Trump nasce, soprattutto, dalla deindustrializzazione che alla lunga ha fiaccato l’America della “Rust Belt”. Bisognava porvi un veloce rimedio con la politica dei dazi. Da qui nasce la guerra commerciale. Lo spettro che agita le notti dell’amministrazione americana è quello di una Cina dominatrice nella tecnologia del 5G e nell’intelligenza artificiale. Il 5G consente prestazioni e velocitàsuperiori a quelle della tecnologia precedente. Questo porta ad un maggior utilizzo della telefonia mobile e di conseguenza ad una più ampia raccolta di dati. Ecco perché gli Stati Uniti hanno messo nel mirino Huawei, società strategica e leader sia nel 5G che nello sviluppo di AI. Il futuro prossimo per le automobili, rappresentato dalla guida autonoma, richiederà connessioni veloci e tempo di risposta immediata che solo la tecnologia 5G è in grado di fornire.

L’amministrazione americana considera questa tecnologia come un’infrastruttura strategica e chiaramente non vuole che a costruirla sia un’azienda cinese come Huawei, né in patria né nei paesi alleati, perché teme operazioni di spionaggio e boicottaggio. Negli ultimi mesi l’Australia e la Nuova Zelanda hanno bandito Huawei dagli appalti per il 5G. L’agenzia di intelligence canadese ha messo in guardia il paese dall’avvalersi di Huawei mentre British Telecom ha scaricato l’azienda cinese. Anche Vodafone ha deciso di interrompere l’acquisto di componenti del colosso di Shenzhen per lo sviluppo del 5G. Il secondo campo di battaglia decisivo è quello dell’intelligenza artificiale. La tecnologia AI ha innumerevoli utilizzi, tra i quali moltissimi di tipo militare. Qui lo scontro frontale è fra Cina e Stati Uniti, gli unici paesi al mondo ad avere centri di ricerca avanzati. La ricerca su AI si basa in gran parte sull’apporto delle grandi aziendedigitali, da Google ad Amazon, da Baidu a Tencent e qui il protezionismo è feroce, specie da parte cinese. Pechino non vuole i giganti americani nel suo mercato, prima per ragioni di censura delle comunicazioni al popolo, oggi per la lotta volta alla supremazia nell’intelligenza artificiale.

Dal World Economic Forum di Davos 2019 George Soros ammonisce sulla minaccia portata dal totalitarismo digitale cinese di cui Huawei, nella sua qualità di azienda leader del settore high-tech dell’impero di mezzo, sarà il braccio tecnologico. Secondo il finanziere americano, il presidente Xi Jinping vuole promuovere, attraverso le tecnologie digitali, un sistema di sorveglianza capillare che consenta, al governo cinese, il controllo a distanza dei cittadini, premiandoli per i comportamenti conformi e punendoli per quelli non in linea con i desiderata del partito. Il terzo campo di battaglia riguarda la potenza di calcolo dei computer. Qui la Cina è in ritardo sugli Stati Uniti perché i suoi microprocessori non sono abbastanza avanzati. La leadership di calcolo portata dalla potenza dei chip è determinate affinchè le automobili possano diventare computer su strada, le portaerei computer su acqua e i missili balistici computer nell’aria. Huawei è meno dipendente di altre aziende cinesi dalla tecnologia americana, ma non immune ad un bando totale di Trump.

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Da qui il piano “Made in China 2025” che vuole la trasformazione del paese in una superpotenza tecnologica da raggiungersi in pochi anni, molto basato proprio sui microchip. La guerra tecnologica fra Stati Uniti e Cina si combatte anche per il predominio del web. Internet è un’invenzione americana, ed è per questo che tutti i protocolli e tutti gli enti regolatori sono gestiti da enti americani. Ma la Cina, che in questo è sostenuta da Russia, India e Brasile, non vuole sottostare al dominio a “stelle e strisce”.

Ha cominciato quindi a costruire una sua rete, più chiusa, in un’operazione di nazionalismo digitale. Questo significa boicottare Google e Facebook ma anche creare infrastrutture nuove, stendere cavi sottomarini alternativi a quelli degli americani, rimpiazzare l’influenza occidentale sul web.

La conquista di “The dark side of the moon” va nella direzione di sfida aerospaziale fra i due paesi, con l’obiettivo, anche, della copertura satellitare. La Cina sta lavorando da anni al suo sistema di posizionamento Beidou, che sarà sempre più importante nell’economia globale e farà concorrenza all’americano GPS (utilizzato, fra gli altri, dalle mappe Google per gli smartphone).

OCCIDENTE ED ORIENTE

Secondo Xi Jinping: “Negli ultimi vent’anni il Partito ha perso prestigio nel Paese e i suoi militanti hanno perso l’orgoglio di essere membri del Partito. Quindi il Partito deve essere riformato al suo interno in modo da svolgere un ruolo guida…”.

La riaffermazione del ruolo del Partito corrisponde alla convinzione ormai maggioritaria nella leadership cinese che i sistemi democratici occidentali stiano fallendo e non rappresentino più un traguardo verso cui tendere. L’idea del fallimento delle democrazie è ulteriormente rinvigorita dalla convinzione che il modello economico cinese sia nettamente migliore di quello occidentale. Quindi non vi è nulla da imparare dal modello democratico occidentale e nemmeno da quello economico. Vi è solo da recuperare il ritardo tecnologico.

In effetti, secondo diversi studi economici, la crisi del capitalismo occidentale ha avuto almeno tre fattori determinanti. In primo luogo uno straordinario processo di finanziarizzazione dell’economia, un modello in cui in denaro si è moltiplicato infinitamente come variabile indipendente dai processi di produzione dei beni reali. La crescita del ruolo della finanziarizzazione è strettamente collegata al processo di innovazione dei mercati avvenuto a partire dal 1980. Tale processo, sospinto dalla deregolamentazione, si è tradotto nella creazione e nella diffusione in un mondo sempre più globalizzato, di strumenti finanziari oltremodo strutturati e complessi. Se in un primo momento può aver favorito lo sviluppo dell’economia, ha poi incoraggiato anche comportamenti incauti e privi di sani criteri prudenziali. Tutto questo ha generato un danno alla stabilità dell’intero sistema finanziario e, per effetto contagio, di tutto il sistema economico.

Un secondo motivo dell’incartamento recessivo in cui sono precipitate le economie occidentali (anche se, per completezza, quella americana ha saputo reagire molto meglio di quella europea, con una efficace alternanza di politiche monetarie e fiscali), è stato il cosidetto fenomeno della sovrapproduzione. La crisi economico-finanziaria del nostro mondo è scaturita in larga misura dalla rottura di quell’equilibrio che per decenni ha retto il sistema capitalistico occidentale, secondo cui potenziale produttivo e capacità di consumo sono variabili interdipendenti, ovvero l’economia può prosperare nella misura in cui vi sia una massa di consumatori potenziali (interni o esterni) predisposti monetariamente all’acquisto. La drastica proletarizzazione del ceto medio ed un impoverimento delle classi lavoratrici ha impedito alle merci prodotte di trovare un sempre crescente numero di consumatori disponibili a comprarle, innescando una crisi di sovrapproduzione dove i lavoratori generalmente non riescono più ad acquistare le merci che concorrono a produrre.

Un terzo fattore che ha contribuito in modo evidente ad affossare le economie occidentali è il debito. In realtà l’economia fondata sul debito come regola, ha contribuito per anni (forse decenni) a mantenere in vita un sistema che andava esaurendosi, secondo uno schema che induceva il consumatore, in condizioni di scarsità monetaria, a ricorrere al debito privato per accedere ai consumi. Il debito privato diventa debito delle banche, il debito delle banche diventa debito pubblico dove lo Stato funziona sempre come “copertura assicurativa dei banchieri”. Lo Stato, per ripianare i debiti è costretto a tagliare ulteriormente i diritti sociali e tassare ulteriormente la base lavoratrice e produttrice, implicando una spirale di contrazione ulteriore dei consumi.

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Passando al modello adottato dai governi cinesi che si sono succeduti a partire dal 1976, anno dell’avvio delle prime riforme economiche attuate da Deng Xia-oping, possiamo trovare una significativa differenza rispetto al modello di sviluppo occidentale. Il programma di sviluppo di Xiaoping si è basato sull’introduzione di elementi di mercato attuato con una grande pianificazione centrale e una decisiva presenza dello Stato nell’economia e nella politica. Con il susseguirsi dei piani quinquennali predisposti dal Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (nel 2020 finirà il tredicesimo), la Cina ha potuto gradualmente ma sistematicamente affrontare le necessità più semplici fino alla programmazione delle grandi sfide attuali. Lo spostamento della popolazione dalle realtà rurali verso le città, dall’occidente verso l’oriente, dai miglioramenti nel campo economico a quello politico, culturale, scientifico, tecnologico ed educativo.Questo processo di riforme adottato dalla Cina, pur soffocando incondizionatamente i diritti delle minoranze come effetto del regime totalitario vigente, ha permesso al Partito unico cinese di effettuare una pianificazione di lunghissimo termine.

Per contro nessuna democrazia in Occidente, vincolata dalla costante ricerca di conferma e di legittimità tramite il voto elettorale, ha mai potuto permettersi di adottare politiche economiche di lungo termine. Purtroppo in tutte le grandi democrazie occidentali non esiste più lo statista politico, in grado di anteporre gli interessi del proprio paese con politiche lungimiranti agli interessi clientelari del proprio partito. La miopia dei politici occidentali li porta a scartare progetti efficienti la cui realizzazione ricade in legislazioni successive (con il rischio di portarne il merito ai gruppi politici avversari) e costringe tutte le forze politiche, oramai di qualunque paese, a presentare progetti di breve termine che massimizzino gli effetti in pochi anni di mandato tanto da condizionare gli elettori per un rinnovo del voto.

IL “DARK SIDE” DELLA CINA

Il “caso Huawei” è l’esempio di come venga giocata questa guerra virtuale fra i due giganti mondiali, fatta di dazi e dichiarazioni minacciose, tentativi di ipocriti accordi ed escalation successive. Il timore che la “guerra fredda” tecnologica tra Usa e Cina potesse sfociare in qualcosa di peggio, dopo l’arresto con motivi dal sapore pretestuoso, nel dicembre scorso all’aeroporto canadese di Vancouver, della figlia del fondatore della società cinese di telecomunicazioni e capo dei servizi finanziari, sta diventando realtà. Il governo di Ottawa è stato sottoposto a forti pressioni da quello di Pechino e la magistratura cinese, intanto, ha fatto arrestare due cittadini canadesi residenti nel Paese asiatico. Inoltre, sempre ad un altro cittadino canadese detenuto in Cina per reati di droga, è stata commutata al processo di appello convocato a tempo di record ed in modo del tutto anomalo, con l’invito a partecipare anche della stampa estera, la pena detentiva in condanna a morte. Meglio non pensare a cosa potrebbe accadere se Trump reagisse nello stesso modo in un Paese, come gli USA, nel quale ci sono 320 mila studenti universitari cinesi e decine di migliaia di accademici e manager venuti dal gigante asiatico (molti dei quali, secondo documenti dei servizi segreti americani, sarebbero pronti a prendere ordini dalla Cina in caso di conflitto).

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Un altro lato oscuro della Cina riguarda la spregiudicatezza con la quale vengono portati avanti sperimentazioni nella ingegneria genetica. Lo scienziato cinese He Jiankui ha annunciato lo scorso dicembre di aver fatto nascere una coppia di gemelli il cui Dna è stato modificato con una tecnica che va ad alterare il genoma umano. Dalla comunità scientifica occidentale questo esperimento viene considerato come il punto di non ritorno: la creazione di una comunità perfetta, sana, da scegliere “on demand”, la nascita di un genere umano con il Dna modificato creata al microscopio. L’iniziativa del dottor He è stata condannata persino da Pechino (ad oggi lo scienziato cinese sembra essere “sparito”), ma è indubbio che gli scienziati cinesi si spingano più in là di quanto farebbero quelli occidentali.

Ho avuto il piacere di conoscere recentemente Alberto Forchielli, economista, scrittore ed imprenditore, fondatore di Mandarin Capital Partners, che da molti anni lavora in Asia e che mi pone in evidenza un altro “lato oscuro” della Cina. Il debito pubblico e privato che ha raggiunto quasi tre volte le dimensioni del PIL.

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Il modello di crescita dell’ultimo decennio è stato finanziato dalle grandi banche (pubbliche), impegnate a supportare immensi investimenti, tanto da farli valere fino al 50% del PIL cinese. Molti di questi investimenti sono stati fatti senza una vera logica di ritorno economico e così ora il debito è in forte dubbio di solvibilità. Forchielli ribadisce come la concorrenza spietata tre le super potenze nasce dall’incredibile crescita tecnologica dell’economia cinese. “Per aumentare il tenore di vita e gli stipendi”, spiega l’economista, “la Cina ha capito che doveva smettere di produrre palle di Natale ma telefonini, dighe e centrali termoelettriche”. Questo però ha portato la Cina a confliggere con gli interessi americani. Inoltre “i consumatori cinesi si stanno dimostrando sempre più nazionalisti. Lo erano anche prima”, dice Forchielli, ”ma adesso che i prodotti cinesi sono all’altezza di quelli importati, lo sono senza ritegno”. Oramai i cinesi sanno fare cellulari di qualità paragonabile ad Apple. Questo, unito alle tensioni commerciali, ha provocato una vera ondata di “compra cinese”; moltissime aziende locali danno premi ai dipendenti se si sbarazzano di tecnologia americana e comprano quella nazionale.

Tutto ciò è stato segnalato dal rapporto Apple che ha di conseguenza ridimensionato le proprie prospettive di crescita. Le catene di produzione si riformeranno, costringendo le multinazionali globalizzate a produrre in Cina quello che vorranno vendere in Cina e produrre negli Stati Uniti quello destinato al mercato americano, “con qualche briciola per tutti gli altri”.

COSA FARE SUI PORTAFOGLI

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La compressione dei multipli azionari P/E, come conseguenza della caduta dei prezzi avvenuta nel quarto trimestre 2018, non si registrava da anni tanto da far registrare alla borsa americana la terza peggior performance dal secondo dopoguerra. La combinazione dei fattori di crescita economica percepita in marcato rallentamento congiunta all’aumento dei tassi della Fed, hanno creato il perfetto mix per alimentare una forte spinta ribassista sugli indici azionari di tutto il mondo.

Ora le valutazioni sono tornate a sconto rispetto alle medie storiche, facendo intravedere delle interessanti opportunità di acquisto che si sono già in parte verificate nel buon rialzo avvenuto in queste prime settimane dell’anno.

Quello che rimane incerto è se il rallentamento economico comunque in atto, anche per le motivazioni di cui si è argomentato precedentemente, sia già scontato abbastanza nel ribasso degli utili attesi oppure se dovrà confrontarsi con qualcosa di più marcato. Quel che è certo, va sottolineato, sarà la minor influenza sugli asset finanziari della liquidità iniettata dalle Banche Centrali, che risulterà nettamente inferiore rispetto a quanto avvenuto nel decennio passato. Di conseguenza i fondamentali inizieranno a condizionare sempre più l’andamento dei prezzi rispetto ad altre variabili; va però anche riconosciuto che un ritorno ad una situazione di relativa normalità richiederà un tempo imprecisato ma “significativo”.

Comunque, rispetto all’annus horribilis del 2018 dove sia azioni che obbligazioni hanno riportato performance negative, è lecito (scaramanticamente …) attendersi un recupero dei corsi di entrambi. Quello che però risulterà sempre più determinante sarà trovare una nuova collocazione nel ranking rischio/rendimento dei portafogli conservativi. Venendo a mancare, oramai da anni, la componente di redditività portata dai titoli obbligazionari di buona qualità, i portafogli conservativi hanno dovuto confrontarsi con il loro “lato oscuro”, con l’aumento della volatilità che ha caratterizzato lo scorso anno.

Alla luce di questo, più che chiedersi se siano da preferire titoli azionari o titoli obbligazionari per l’anno a venire, è necessario cominciare a pensare in termini di pianificazione finanziaria. Cioè definire quali obiettivi ci si prefigge di raggiungere con il proprio patrimonio. Se è una gestione della liquidità di cui avremo necessità a breve, dovremo rassegnarci a ritorni molto modesti se non negativi sul patrimonio ma magari vi allocheremo solo quanto sarà necessario per coprire questa finalità.

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Se invece vorremo pianificare un investimento, allora è indubbio che le aziende di buona qualità saranno funzionali alla crescita del proprio risparmio ma da incrementare gradualmente nel corso degli anni per sfruttare e non subire la volatilità dei mercati.

Da inserire nel patrimonio, anche qui a piccole dosi ma crescenti nel tempo, titoli azionari (private equity, start up, venture capital) ed obbligazionari (private debt) non quotati che, proprio per questa loro caratteristica di essere meno assoggettati all’umore dei mercati, potranno rivelarsi degli ottimi investimenti nel tempo.

In ultimo sarà necessario riflettere anche sul livello della pensione futura, nostra e dei nostri figli, se non la riterremo congrua dovremo iniziare fin da subito ad integrarla, per non incappare in futuro nel “dark side” della previdenza pubblica.

massimo.jakelich@azimut.it

1 febbraio 2019

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