Il mondo si ritrova inondato di petrolio proprio quando ne ha meno bisogno.

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Tutto è iniziato venerdì 6 marzo a Vienna durante il vertice Opec dei principali produttori mondiali di petrolio quando la Russia ha dichiarato di non essere d’accordo al taglio della produzione per sostenerne il prezzo.

Per tutta risposta, l’Arabia Saudita ha deciso di aumentare la produzione e abbassare il prezzo del greggio sotto i 30 dollari al barile (la settimana precedente quotava stabilmente sopra i 50 dollari).

Da quel momento i prezzi non hanno fatto che scendere.

Le motivazioni del crollo in realtà sono più di una, vediamo quelle principali.

  • Eccesso di offerta: come abbiamo detto alcuni grandi produttori non solo non hanno ridotto la produzione, ma, almeno in un primo momento, l’hanno addirittura aumentata.

Questo nonostante i costi di estrazione siano più alti di quello di vendita: in pratica producono in perdita (Russia e Paesi Arabi hanno riserve di denaro e oro immense e possono permetterselo).

  • Calo della domanda: lo scoppio della pandemia con le misure di lockdown e di blocco del trasporto aereo ha ridotto drasticamente la richiesta mondiale di petrolio da 100 a circa 70 milioni di barili al giorno.

    E ancora non si può quantificare con precisione quanto la recessione post Coviid 19 si protrarrà e di conseguenza per quanto tempo il consumo di petrolio sarà limitato.

  • Scorte eccessive: i magazzini di stoccaggio in tutto il mondo sono stracolmi e stanno velocemente arrivando al loro limite di capienza, soprattutto quelli americani.
    Nonostante questo, 20 mega-petroliere saudite stanno per arrivare nei porti USA.

    Possiamo immaginarle come 20 testate dirette in America come in un romanzo di Tom Clancy”, afferma John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund energetico di New York Again Capital.

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  • Tensioni geopolitiche: la “guerra” sul petrolio è solo la punta dell’iceberg di un gioco di forza tra le varie superpotenze economiche mondiali.

Si va dal tutti contro tutti a complicate alleanze strategiche tra alcuni attori: l’Arabia vuole piegare la Russia alle decisioni dell’Opec; allo stesso tempo però hanno interesse comune a mantenere basso il prezzo per mettere in ginocchio i produttori di shale oil americani (che hanno costi di estrazione molto alti) con i Sauditi che dovrebbero inoltre proseguire i forti sconti ai compratori asiatici; la Russia fa leva sul petrolio per aumentare il suo “peso” politico in Libia e Siria; Trump non può permettersi di veder fallire qualche società in piena campagna elettorale ma non può nemmeno inimicarsi completamente Russia e Arabia nella sua “guerra” all’Iran.

Insomma il quadro è piuttosto complesso da decifrare.

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  • Volontà di mettere fuori gioco le energie alternative: anche in un mondo sempre più “green”, i combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) rappresentano ancora oltre l’80% delle fonti di energia mondiali.

    Con un costo medio di produzione delle fonti rinnovabili (eolico, solare, ecc) ben superiore ai 50 dollari, il rischio che queste ultime diventino sempre meno attraenti è certamente concreto, con buona pace degli Stati che spingono verso un’economia a zero emissioni.

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  • Speculazioni: andiamo un po’ sul tecnico, ma non si può non includere la speculazione tra i fattori principali che determinano il prezzo del petrolio.

Basti pensare che ogni giorno si vendono e comprano per davvero “solo” un’ottantina di milioni di barili di petrolio. Me nelle stesse 24 ore, sui mercati, ne passano virtualmente di mano circa un miliardo. E’ un trucco reso possibile dai derivati, ossia contratti in cui ci si accorda per una consegna futura ad un prezzo prestabilito. Se nel frattempo il valore scende sotto questo prezzo guadagna chi vende, viceversa guadagna chi compra. In realtà però questi contratti non si concludono mai con la consegna vera e propria (1.000 barili per ogni contratto). Si paga semplicemente la differenza, oppure si effettua quello che in gergo si chiama rollover. Vale a dire che il contratto che sta per scadere viene rinnovato con uno con scadenza più lontana.

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Questo è il punto di partenza per capire quello che sta accadendo sui mercati e perché lunedì scorso, tra l’incredulità generale, il prezzo del petrolio (o, meglio, non del barile “fisico”, ma di quei contratti derivati in scadenza) sia sceso sotto lo zero: e non di poco, toccando un valore negativo a -37,63 dollari/barile, in calo di oltre il 300%, seppur con scambi marginali. In pratica chi voleva disfarsi di un contratto in scadenza non ha trovato nessuno che volesse comprarlo. A questo punto il possessore del contratto, avrebbe dovuto ricevere per davvero tutto il petrolio acquistato con il derivato. Generalmente però chi fa queste operazioni non gestisce materialmente barili di petrolio e non ha gli spazi per immagazzinarlo. Si possono affittare, ma in questo momento i depositi di petrolio sono tutti pieni a causa del crollo della domanda provocato dal blocco delle attività produttive. I possessori di contratti futures sul petrolio si sono così trovati in una specie di trappola per topi. Ci sono entrati ma non potevano più uscirne senza perdere soldi. Due le opzioni: o accettare i barili pagando costi altissimi per tenerli fermi finché qualcuno non li compri, oppure pagare chi avrebbe dovuto consegnarglieli per tenerseli. Si paga per non ricevere quello che si è già acquistato e il prezzo diventa così negativo.

Come twitta Trump “E’ una roba finanziaria e durerà poco”; dello stesso avviso il Cremlino “Il pandemonio con i futures è assolutamente speculativo e non c’è bisogno di dipingerlo con tinte apocalittiche”.

Difficile prevedere cosa succederà nelle prossime settimane: molti Paesi produttori “minori” stanno spingendo per anticipare la riduzione delle estrazioni; nel frattempo il contratto WTI di giugno, il più attuale e quello che contiene la maggior parte del volume degli scambi, attualmente quota 14 dollari al barile e ciò permette di avere una misura più accurata dei prezzi.

Le prospettive migliorano considerevolmente per i contratti future del petrolio WTI per i mesi successivi: il contratto con scadenza marzo 2021, ad esempio, è scambiato a circa 30 dollari al barile.

Per i consumatori invece questa situazione può portare alcuni, limitati, vantaggi. Il primo è naturalmente il calo dei prezzi di benzina e gasolio. Ma non aspettiamoci meraviglie. Il prezzo della materia prima incide infatti appena per il 15-20% del prezzo finale. Anche se il petrolio costasse zero (e in Europa non è così) il risparmio sui poco più di 1,4 euro che costa un litro di benzina sarebbe nell’ordine di 15/20 centesimi. Il resto di quello che paghiamo al distributore finisce infatti in tasse (il 69% del prezzo) e in costi di raffinazione, trasporto e distribuzione. Un beneficio dovrebbe però farsi sentire presto anche su bollette di luce e soprattutto gas. I prezzi del metano sono infatti da sempre collegati a quelli del greggio e la produzione di elettricità italiana deriva per circa la metà da centrali a gas.