Il mondo raccontato da giornali e tv: muri e barriere tariffarie che bloccano i liberi scambi mentre il protezionismo impoverisce i consumatori e l’intero pianeta si avvia alla catastrofe climatica. Meno male che ci sono Mekel, Macron e Xi con Gentiloni al seguito pronti a salvarlo da Trump. Il mondo raccontato dai dati e dai mercati: economie che corrono spensierate, commercio globale che prospera, borse globali che macinano nuovi record, soprattutto in USA, ma anche in Asia, Europa e Sud America. Lo S&P 500 ha chiuso maggio con un +1,3%, sell in May non era una buona idea. Anche il giapponese Nikkei ha sfondato 20.000 per la prima volta da 18 mesi. Il tedesco DAX, il coreano Kospi alla chiusura di venerdì viaggiavano ai massimi di sempre insieme agli americani Dow e Nasdaq. La curva dei tassi USA non incorpora rischi di strappi dell’inflazione e i dati macro sembrano abbastanza robusti, con la disoccupazione al 4,3%, da consentire alla Fed di alzare i tassi per la seconda volta nel 2017. Per fortuna di Mario Draghi, l’inflazione europea ha frenato bruscamente a maggio dopo lo strappo di aprile, rendendogli più facile mantenere la rotta sul QE al board di Tallinn dell’8 giugno, continuando così a dare ossigeno alla ripresa europea che guadagna velocità.

La settimana che ci lasciamo alle spalle è stata ottima per l’Italia, che ha portato a casa due buone notizie sul fronte dell’economia reale e una sulla trincea delle banche. Nei trenta giorni tra fine marzo e fine aprile sono stati creati 94.000 posti di lavoro, secondo i conti dell’Istat, che ha anche rivisto robustamente al rialzo la crescita del PIL del primo trimestre dallo 0,2 allo 0,4 rispetto al trimestre precedente e dallo 0,8 all’1,2 su base annua. Se continuasse così, sull’intero 2017 la crescita sarebbe più vicina al 2 che all’1%.

Intanto si sblocca il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena grazie a un molto sofferto accordo raggiunto dal ministro Padoan con la commissaria europea Vestager. Un buon viatico per Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Se si sblocca anche per loro, la lunghissima vicenda della crisi bancaria italiana si avvia a chiudersi. Insomma, una specie di triplete da far invidia a Mourinho, eppure Piazza Affari non si è alzata in piedi per esultare, anzi ha chiuso una settimana sottotono rispetto alle altre. La ragione si chiama ovviamente politica, è stata infatti anche una settimana di convulsioni, insulti e contraddizioni, con la prospettiva di andare a votare in autunno tutti contro tutti.

Ora forse le cose si stanno chiarendo, sembra che Renzi accetti l’idea di aspettare fino a marzo dell’anno prossimo, dando così a Gentiloni il tempo di varare la manovra per il 2018 in chiave di crescita, con tagli alle tasse, e non solo di austerity. Certo il panorama resta desolante. Dalla caduta della prima Repubblica è passato ormai un quarto di secolo ed è sempre più chiaro che sono stati 25 anni buttati al vento, non è spuntata una nuova classe politica capace di avviare un nuovo corso. E così tutte le potenzialità del sistema industriale e economico italiano sono state lasciate andare allo sbando.

Pensiamo solo ad esempio alle telecomunicazioni. A metà degli anni ‘90 del secolo scorso quelle italiane erano le più forti e innovative d’Europa. La Stet avrebbe potuto comprarsi la spagnola Telefonica, nel frattempo diventata un gigante globale, senza neanche dover ricorrere al debito, e lo stesso avrebbe potuto fare Omnitel con Vodafone. Invece tutto andò in fumo con la suicida (per il paese) scalata fratricida dei capitani coraggiosi di fine millennio incoraggiata dal politico italiano più sopravvalutato di sempre (quello col baffo). Risultato finale, oggi Telecom Italia (il discendente di Stet) è nelle mani dei francesi di Vivendi e quella che fu Omnitel è una delle tante province di Vodafone. Storie simili si sono succedute in molti settori, dall’alimentare alla chimica. Nonostante tutto, l’Italia resta la seconda potenza industriale europea dopo la Germania, grazie a un formidabile tessuto di medie imprese capaci di innovare e competere sul mercato globale. Ma continuiamo a perdere pezzi, come Alitalia e l’acciaio dell’Ilva.

Bottom line. Se riusciamo a evitare le elezioni in autunno è una buona notizia ma non è certo la svolta. Non si capisce da quale serbatoio questo paese potrebbe attingere uomini nuovi da prestare alla politica. Quello della Banca d’Italia, che tornò utile nel 1993, sembra esaurito. Abbiamo provato con l’Imprenditore e il Professore ma non ha funzionato. Poi ci aveva fatto sperare il giovanotto toscano, ma la partita del referendum non poteva giocarsela peggio. Ci vorrebbe una ammissione di colpa collettiva di tutta la classe, diciamo per dire, politica, centrale e periferica: abbiamo sbagliato tutto, non siamo capaci, d’ora in poi facciamo il meno possibile e lasciamo fare il più possibile al resto del paese. Peggio di noi non può fare.

(fonte FinanciaLounge Weekly Bulletin)